IL MURO

Manolis è un uomo di circa 70 anni che, a Larnaka, ha in gestione l’officina nautica e il travel lift del porto turistico, un uomo gentile ma dallo sguardo triste.
“Sono di Famagosta ma quando sono arrivati i militari turchi sono dovuto scappare con la mia famiglia. Facevo il meccanico e avevo un officina, in cui vendevo anche prodotti per auto, nel fabbricato accanto la mia casa. Poi l’invasione, la fuga, e mi sono ricostruito una vita a Larnaka con mia moglie e i miei figli. E a casa mia c’è una famiglia turca ora, abitano a casa mia con i miei mobili e lavorano nella mia bottega”. Gli occhi gli diventano lucidi.
Sono passati più di quarant’anni e quasi gli scendono le lacrime.
“Quelle, però, sono ancora la mia casa e la mia bottega ma io non ci posso andare più”.
Manolis è uno dei circa 200 mila espulsi dal Nord di Cipro a seguito dell’avanzata delle forze turche nell’estate del ‘74. Una vera e propria invasione con occupazione del territorio, giustificata da Ankara come un intervento di protezione della comunità turca presente sull’isola a seguito del golpe della maggioranza greca ispirato dalla giunta militare che all’epoca governava il Paese. Una invasione che ha avuto come conseguenza esiliati, rifugiati, dispersi, morti, feriti e la realizzazione di un muro che attraversa tutta l’isola, individuando così una Cipro Nord (la Repubblica turca di Cipro Nord non è riconosciuta dalla comunità internazionale) e una Cipro Sud, un muro che sulla carta sembra una lunga ferita che non riesce a rimarginarsi, un muro che in realtà non è un vero muro, ma una zona neutra, un’area che separa, una “buffer zone”, al cui interno non c’è nulla e quello che c’era è abbandonato, disabitato; è una terra di nessuno delimitata in gran parte da filo spinato e sacchi di sabbia e check point. Si chiama “green line” ed è un’area demilitarizzata, istituita dall’ONU nel 1974 lungo la linea del cessate il fuoco, con lo scopo di evitare il contatto tra greco-ciprioti e turco-ciprioti. La “green line” attraversa anche Nicosia, la capitale di Cipro, la Berlino del Mediterraneo, rimasta oggi l’unica città d’Europa e unica capitale nel mondo divisa da un muro.
Un muro che dal 2008 a Nicosia si può attraversare grazie all’apertura di un varco pedonale. E il passaggio è disarmante: da un occidente che si fa bello nelle vetrine di negozi e locali della Nicosia europea, all’oriente e alla cultura ottomana che occupano spazi ed edifici che portano i segni della guerra, perché nessuno ha mai più ricostruito in questa parte della città dove risuona il canto del minareto che richiama alla preghiera e dove bar e giardini radunano giovani e vecchi attorno al caffè turco o al çay.
Negli ultimi anni, da quando si sono aperti varchi nel muro che consentono il passaggio da un’area all’altra dell’isola, non ci sono più episodi di tensione o di scontro tra le due comunità. Il sentimento di frustrazione per quello che avvenne 43 anni fa è ancora vivo, ma il muro oggi non serve più. Le nuove generazioni di entrambe le comunità chiedono la pace e aspettano una risposta dalla politica perché sanno bene che il conflitto è ormai solo politico, non etnico o religioso.

Giuliana Rogano
giulianarogano@gmail.com

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