ATTENTI A QUEI DUE!

Scrivo ancora da Milano, amici che non vedevo da tempo e amici di amici, qui conosciuti e subito amati per la vicinanza d’animo, mi trattengono in un vortice di inviti senza fine. Colazioni, pranzi e cene, ma anche merende, coffee break, aperitivi e smart dinner, insomma qui si mangia una continuazione. Ho un’età e ogni volta che mi lascio trascinare poi mi vengono i sensi di colpa, ma che ci posso fare se il cibo mi domina? Parbleau! Salto da un senso di colpa all’altro senza mai perdere l’entusiasmo della scoperta. E tant’è.
Ad ogni modo, bisogna sempre prestare attenzione, lo dico soprattutto a chi di cucina non è esperto, perché ci vuole davvero poco a mascherare il sapore di una carne non più fresca o di un sugo ormai passato; non dimentichiamo – come dice sempre un caro amico avvocato – che i ristoratori sono pur sempre imprenditori e in quanto tali tendono alla “massimizzazione del profitto”… Ca va sans dire! Ci sono cascato.
Ero a passeggio con Marc e Candid, in una serata amena di questa primavera dolce.
Con noi c’era anche Crudo, mon petit toutou, con la sua fame atavica.
Parlavamo di innovazione e natura, ecosistema… A Milano non tagliano più l’erba pubblica perché hanno scoperto che così produce più ossigeno… Insomma, parlando e parlando superiamo di un bel po’ l’ora di cena e così, nella consapevolezza mista a rammarico che senza una prenotazione non saremmo riusciti a sederci da nessuna parte, cominciamo il nostro “Tour dei questuanti 2.0”, ovvero ci lasciamo guidare nella scelta degli obiettivi dai suggerimenti degli utenti di diversi siti internet. Alla fine, dopo una frustrante serie di “Ha prenotato?” seguita da una altrettanto lunga serie di “…Mi dispiace”, ci sediamo, affranti, in uno dei tanti ristoranti turistici che propongono cucina simil-italiana. Che dire?! Stendo un velo pietoso sul menu, sul servizio e sulla memoria. Vergogna.
La notte che ne segue è per me insonne, dalla pancia in subbuglio arrivano urla di protesta: “Hai tradito i tuoi ideali”, “Perché  ti sei seduto in quel tempio della contraffazione?”, “Che ne è stato della consapevolezza?”. E l’indomani mattina un senso di torpore generale mi assale.
Ero a letto, Crudo reclamava il suo pasto, ma ero in trance e non potevo alzarmi.
Sono stato lì, catatonico, fino alle 11,30, fino a quando Marc non mi ha chiamato per invitarmi a pranzo. “Antoine, preparati, ti porto in un posto” mi ha detto, ed era quello che ci voleva, un’opportunità per ristabilire l’ordine delle cose. Qualcosa dentro di me si smosse. Era stata una  brutta delusione, mais c’est un nouveau jour!, mi sono detto.
L’appuntamento era al numero 21 di via Lomellina, una perpendicolare di Viale Corsica, a due passi da dove alloggiavo. Indossai un pantalone bianco, una camicia a righe e i miei mocassini preferiti. Collare e guinzaglio e via. Alle 12,30 ero già fuori  l’ingresso che curiosavo gli arredi e il servizio. Homellina Bistrot si chiamava il posto. La disavventura era alle spalle e io avevo una fame totale. Marc arriva puntuale, entriamo e ci accoglie una ragazza bellissima, alta, i capelli raccolti, e un trucco leggero solo sulla metà superiore del viso, in stile Blade runner.
Ci sediamo, io, con le spalle alla porta d’ingresso, mi perdo nella prospettiva di una parete specchiata che ingrandiva l’ambiente a dismisura.
La “maschera” – mi piace chiamarla così –, ci porta i menu. Parliamo, ci racconta di lei, e con una cadenza e un accento perfettamente milanesi, ci dice di essere di origini e famiglia napoletane. Parbleau! Ci racconta che ogni cosa presente nel locale, sul menu o nelle vetrine interne (croissant, pan au chocolat, ciambelle…), è fatta da loro, home made, come si dice lì… Nell’Italia del Nord.
Le proposte dello chef erano discrete e circoscritte, due idee per portata. Restiamo sobri come l’ambiente che ci ospita e come antipasto scegliamo un crostone con stracciata di bufala, capperi, pomodori  secchi e basilico che ci incanta al primo assaggio. Il pane, a dispetto della denominazione di specie, era super friabile e gli ingredienti di prima qualità facevano il resto. Esperenziale.
A seguire, nel tempo giusto di attesa – sufficiente a farci riflettere su quanto fosse appena accaduto e sull’incubo della sera precedente –, arrivano i nostri scialatielli con pesto di fiori di zucca, pinoli, mandorle e basilico. Pasta fresca, cottura perfetta. Sapori perfettamente amalgamati in un poetico equilibrio di gusto e leggerezza. L’attenzione è tutta e solo per il piatto. Ogni boccone mi parla di Sud. Guardo Marc e senza aprir bocca mi racconta la stessa cosa.
Mi volto verso il basso, alla mia destra, per sentire cosa ne pensa Crudo, ma lui non c’è, seguo il guinzaglio e lo vedo galleggiare a mezz’aria, con gli occhi chiusi e la lingua penzoloni.
La nostra consapevolezza e il nostro onore sono riscattati. C’est bien! Ho detto rivolgendomi alla bella maschera e lei ci ha sorriso, a me e Crudo!, che sia l’inizio di qualcosa? Domani si vedrà, per il momento, sazio e appagato, riprendo la mia strada di nuovo curioso, di nuovo aperto. “Fu una batosta dura per me. Ma poi, che farci? Continuai la mia strada, in mezzo alle trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi”.

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