1. C’era una volta un pizzaiolo, Fausto Sconsolato. Costui stendeva l’impasto: un po’ di pomodoro, una smanacciata di mozzarella, due giri di filo d’olio e via in forno.
A Fausto Sconsolato piaceva il suo mestiere, quei gesti semplici e così rassicuranti.
Ricordava con affetto quel giorno in cui il padre lo pose davanti all’alternativa: studiare o lavorare. Poteva scegliere ogni mestiere e egli, sconsolato, decise di andare da Masto Mimì, il pizzaiolo.
Fu un apprendistato lungo. Masto Mimì era un maestro lento.
– “Ogni cosa a suo tempo” – diceva.
Negli anni successivi, con tre figli e una moglie a carico, Fausto Sconsolato tornò spesso con la memoria a quel giorno. Nessun ripensamento, per carità. Però così, per passare il tempo, si chiedeva cosa sarebbe successo se quella mattina di tanti anni fa avesse deviato il suo percorso andando a finire da Masto Geppetto, il falegname del paese…
2. Anni dopo, un altro pizzaiolo, Felice Stupefatto, un tipo un po’ mistico e pieno di stupore, stanco di parlare con le persone, se ne andò a parlare con gli ortaggi nell’orto. Lì vide un pomodoro. Gli parve bellissimo e domandò: “Perché non parli, pomodoro?”
Dopo un po’ rincasò, afflitto per non aver ricevuto alcuna risposta.
Pensò che fosse davvero ingiusto che un pomodoro non potesse parlare quando invece tante persone, meno dotate del pomodoro, lo facessero. Pensò, anzi, che quello che valeva per il pomodoro poteva valere per tante altre cose: ortaggi, formaggi, salumi…
Quel salame, ad esempio… Come sarebbe bello parlare con quel salame!
Le sue riflessioni furono d’un tratto interrotte da un evento che aveva del miracoloso. Un leggero venticello spalancò la finestra sul suo banco da lavoro. Una nuvola di farina si alzò. In quel preciso momento costui fu rapito da un’emozione ineffabile; sentì in quell’istante di essere parte del tutto; sentì di essere, ad un tempo, zucchina, farina e puparuolo. Sentì di essere quel pomodoro muto. Decise così d’improvviso di voler rivoluzionare la pizza, dando voce a tutti i prodotti purtroppo senza voce. Partì quindi per un lungo viaggio alla ricerca dell’origano rigato, dell’oliva di vattellapesca, del pomodoro di zuzzurellonia, della mozzarella sbuffalina, dell’oliochenonunge, della farina sottozero, della caciotta-ricotta, etc. etc.
Qualche anno dopo, l’opera era finalmente compiuta. La nuova pizza, piena di tutte queste prelibatezze, era nata. Il pensiero di Felice Stupefatto corse a quel pomodoro di tanti anni fa al quale finalmente aveva restituito dignità.
Da quel momento la storia pizzaiolesca non è stata più la stessa.
3. Anche il pizzofago, noto mangiatore seriale di pizza, è stato travolto da questa incredibile novità. Egli ha adesso un’aria pensosa. Non più un umile affamato, tutto stomaco e niente cervello, ma persona sensibile, colta, conoscitore di ortaggi, mozzarelle e farine.
Mi pare di vederlo, chino sul piatto, a contemplare il capolavoro, a notare quella vezzosa striscia di riduzione di basilico, a sollevare la pizza per studiarne il fondo, a vederla di sghimbescio, ad avvicinare il naso come un segugio, a studiare bene il modo di tagliarla.
“La taglio e me la magno o non la taglio e me la guardo?”
Eterno dubbio amletico!
Non pago, il pizzofago ha iniziato poi a riflettere sull’impasto e sulle alveolature e a dissezionare il cornicione, come quel tale, quel Antoine Igos, tipo smilzo e un po’ saputello, autore della rubrica “Degustigos” (cfr. su questa rivista).
4. I pizzaioli d’oggi, epigoni di quel primo mistico pizzaiolo, sono ormai dei vati. Si fanno immortalare dappertutto: ora meditabondi, talvolta in mezzo ai campi, altre volte a testa alta, da veri soldati della pummarola.
Ciascuno poi si dà una missione. C’è il “pizzaiolo filosofo”, che fa discorsi sul “cerchio della vita”.
“Noi siamo quello che mangiamo” – sentenzia. “Vedi questo broccolo? Io sono questo broccolo”.
Secondo lui ogni cosa, che sia un semplice pomodoro o un fiore di zucca, la si deve selezionare con cura. Una volta raccolta, la si deve accarezzare e le si devono sussurrare parole dolci come quell’amico di Amèlie Pulain nella frutteria del sig. Collignon. Ad un certo punto però il suo racconto tentenna. È sopraffatto dall’emozione. Si fa rosso in viso allorché affiora il ricordo imbarazzante di una relazione amorosa con un carciofo…
Non manca il “pizzaiolo compulsivo”, esempio di ferrea etica del lavoro: per lui la pizza è l’alfa e l’omega, tutto inizia con la pizza e finisce nella pizza. Da bambino non giocava con gli amichetti ma faceva le pizze. Da ragazzo, mentre gli altri si svagavano, egli era rinchiuso nel suo laboratorio a fare impasti. Da adulto dovette accorgersi che a furia di far lievitare gli impasti aveva dimenticato di far lievitare il bernoccolo metafisico.
Grazie a questa dedizione assoluta, il suo vissuto si è ristretto e quindi anche il linguaggio ne ha risentito. Pare che riesca a pronunciare solo quattro parole: “io”, “pizza”, “cottura” e “impasto”.
Il suo eloquio è quindi zoppicante e infarcito di “io, io, io”. Anche quando dovrebbe dire, in segno di cortesia, “grazie”, risponde “io”.
Infine, c’è il “pizzaiolo guerriero”. Lo si vede in atteggiamenti bellicosi, con il volto accigliato, la pala tra le mani e gli occhi fissi che paiono volerti dire “io vincerò”. Ora non si sa bene contro chi combatta costui, se contro i suoi colleghi pizzaioleschi o contro i pizzofaghi da lui reputati ignoranti.
I suoi modi sono davvero dispotici. Bistratta il pizzofago, e lui, poverino, dice “grazie”. Rampogna con insolenza i pizzaioli di serie B, considerati ignoranti, e costoro tutti in coro a dire: “Com’è umano, Lei!”. Scaccia via il questuante, colui cioè che pensa di potersi sedere in pizzeria – nella sua pizzeria! – senza la prenotazione; e, a chi prenota senza poi presentarsi, applica una multa.
Siamo alla trasvalutazione: la pizza come strumento di educazione delle masse.
Chissà cosa penserà Felice Stupefatto, lui che attraverso la pizza voleva rendere loquace il pomodoro e non invece educare.
5. La pazzesca storia pizzaiolesca fa registrare altri due dati degni di nota.
Prima dell’avvento dei vati, ai tempi di Fausto Sconsolato, la pizza era alla portata di tutti; la rivoluzione inaugurata da costoro è invece una rivoluzione chic da prezzi shock. Non siamo nella Milano del 1600 e delle note vicende del “Forno delle Grucce”, ma il proletariato pizzofago, se si continua così, avrà ben ragione di dire “Giù le mani dalla pizza!”.
E che dire dei tempi?
Quando c’era Fausto Sconsolato si entrava in pizzeria in un minuto e si usciva, se la compagnia era allegra e godereccia, dopo due ore.
Ora invece per entrarci può capitare che ci vogliano tre mesi e si esce dopo qualche minuto, quando il cameriere con garbata insistenza chiede: “Desidera altro?”.
Questi vati ci ammorbano con la loro etica del mangiar bene.
Ma come si può mangiar bene senza nemmeno avere il tempo di conversare?
La smettano dunque e lo dicano, una volta per tutte, che a loro del pizzofago non interessa un fico secco. ‘O bìsiniss è bìsiniss e tutta questa stucchevole e patetica retorica edonistica assomiglia al dolus bonus illustratomi dal mio amico giureconsulto Augusto Cavillo.
Sul punto anche l’indignato (vedi su questa rivista: L’indignato) avrebbe da ridire!
Per una volta, a malincuore, sarei d’accordo con lui.
6. Sono passati gli anni. Fausto Sconsolato è oramai in pensione. Al circolo che frequenta gioca a carte con gli amici e beve il caffè. La sua giornata è placida.
Tuttavia, ogni giorno, sconsolato, vede passare una macchina roboante con alla guida un vate.
Sconsolatamente pensa a quante volte gli sia passato tra le mani un pomodoro senza avergli posto la fatidica domanda:
“Perché non parli, pomodoro?”.
Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia.
Allesio